Carissimi,

dieci giorni dedicati ai nostri bambini. Quest’anno non sono venuti alla Missione tutti insieme, dilazionati nei giorni me li sono goduti un po’.

I nostri bambini sono quelli che abbiamo selezionato in base al loro stato di necessità e che attraverso l’adozione di molti di noi di Gocce di Vita mandiamo a scuola pagando loro la retta annuale che fortunatamente comprende anche il pranzo.

Definire pranzo polenta e fagioli tutti i giorni è una parolona, per loro è la salvezza. Specialmente nelle condizioni di questi bambini quel pranzo spesso rimane l’unico pasto della giornata con una specie di merenda che consiste in acqua e farina molto allungata, un beverone che riempie la pancia e si digerisce il giorno dopo.

Sono arrivati con le mamme o con le giagge (le nonne) che si occupano di loro anche se non sono le vere nonne ma persone che si incaricano di prenderli in casa quando manca la famiglia e sono completamente soli. Arrivano alle ore più impensate, ma se io in quel momento non posso dedicarmi a loro, aspettano, anche tutto il pomeriggio. L’altra mattina alle 7 e un quarto ho aperto la porta della casetta e mi son vista sei nonne con 12 bambini ad aspettarmi. A che ora sono arrivate? – ho chiesto al guardiano – prima delle 7! Non ho avuto pace fino all’ora di pranzo.

Dovrei essere sempre a disposizione. Timidissimi, i bambini parlano pianissimo e non raccontano niente di sé, in compenso specialmente le giagge, sono chiacchierine; il momento di portarmi i bambini diventa per loro un happening con le altre donne. Con me sono sciolte e raccontano, mi portano le pagelle così che io possa brontolare chi riporta voti bassi ed elogiare chi è bravo. Per ogni bambino si passa alla composizione di una lettera indirizzata alla famiglia italiana che li supporta e allora…si vede quali sono le scuole migliori. I piccoli che frequentano le scuole primarie ancora hanno difficoltà a scrivere in inglese, nelle secondarie sono più sicuri e riescono a comporre. Dopo la lettera c’è la foto e qualche caramella se è il caso per il bambino e la nonna.

Nonne e bambini salutano e se ne vanno, alcune di loro mi portano anans, mago, popos, una delizia di frutta per ringraziare. Nei giorni seguenti io passo dalle scuole a pagare le rette.

Per descrivere le scuole ci vorrebbe un capitolo a sé. Per lo più baracche di legno al cui interno piccoli banchi con 4, 5 bambini per banco. Le segreterie delle scuole assolutamente senza materiale: carta, penne, matite colorate, spesso un baracchino al lato della baracca-aule in cui c’è una poveretta che serve a tutto, da bidella a segretaria e da distributrice di carta igienica quando i bambini devono andare in bagno.

Queste scuoline mi fanno tenerezza e provo ammirazione per gli insegnanti che si impegnano nell’istruzione di questi bambini e che arrivano a scuola in certe condizioni… ma quanto sono felici di andarci, a scuola! Felici di avere il grembiulino e i più grandi la divisa ma soprattutto di essere fra coloro che possono permettersi la scuola e vedere oltre il loro presente. Ci sono anche scuole migliori, in muratura, ma hanno comunque sempre un’aria trasandata senza porte e finestre e dopo poco che sono state costruite sono già tutte sporche di polvere rossa. Le scuole superiori sono molto più curate perché le rette sono più care.

Abbiamo una sessantina di bambini e ragazzi che, quando abbiamo iniziato a proporre le adozioni a distanza, erano piccoli, ora sono certi spilungoni che frequentano le superiori, le ragazze che abbiamo cominciato a sostenere erano delle bambine ora sono donne, tutte ben determinate a non fare la vita delle loro madri con 8, 10 bambini ma intenzionate a proseguire oltre le superiori con corsi di formazione professionale, anche se il loro sogno nel cassetto è l’università.

Per quanto riguarda le adozioni in Assemblea dell’Associazione è stato stabilito un capitolo di spesa per integrare le quote che chiediamo per le adozioni in modo tale da far continuare gli studi a coloro che ne hanno le capacità, chiedendo, quando vediamo che è possibile, una partecipazione della famiglia o di coloro che hanno in carico i bambini, zii, giagge, mamme. Nel nostro piccolo abbiamo l’obiettivo di far crescere una gioventù che possa trascinarsi dietro anche i meno dotati o comunque che riesca a realizzare un sistema sociale futuro che garantisca tutti.

Avendoli visti tutti gli anni fin da quando erano piccoli mi sento particolarmente coinvolta e cerco di aiutarli come posso.

La scorsa settimana la Comunità Missionaria delle suore presso cui siamo ospiti ha fondato una nuova Missione nell’Uganda dell’ovest a Fort Portland al confine con il Congo, in un piccolo centro, lontano un’ora e mezza dal primo villaggio e a 8 ore di pulmino da dove siamo qui a Kisoga, in uno dei quattro regni dell’Uganda. Naturalmente lingua diversa, clan diverso, etnia diversa.

Le nostre suorine nere sono state chiamate dai padri missionari che là hanno un ospedalino, una scuola e la chiesa perché le suore facciano catechismo, aiutino come infermiere e si dedichino come maestre alla scuola integrando il personale locale.

Il parroco quando sono arrivate queste 4 suore, ben educate, tutte precise, sembrava un bambino davanti ad un giocattolo nuovo e delicatissimo! Felice è dire poco.

Le abbiamo accompagnate con un pulmino pieno zeppo di casse, valige, lenzuola, pentole, libri di preghiere, praticamente una casa da mettere su dal nulla, la casa in muratura era stata costruita dal parroco per loro e arredata con il minimo, minimissimo, in un posto dove c‘è gente poverissima intorno e loro, fiori del deserto, prese e lasciate là. Tanta tenerezza queste quattro ragazze che io conosco bene. Tre di loro sono congolesi ed io ero qua in Uganda l’anno in cui sono arrivate nella Missione di Kisoga, con dei valigioni tutti imbrattati di terra rossa. Avevano viaggiato per tre giorni e tre notti su autobus che venivano fermati in continuazione dai guerriglieri in Congo che puntavano loro i Kalashnikov in faccia e poi alla frontiera ugandese perché non volevano far passare i congolesi. Queste ragazze hanno attraversato il confine con le loro valigione nascondendosi in una parrocchia e mischiandosi con la gente di un mercato domenicale affollatissimo.

Quell’anno mi fu richiesto di far loro lezione di inglese poiché il Congo è di lingua francese, quindi sono stata con loro per tanto tempo e so quanto sono speciali, donne determinate, dolcissime e pronte a qualsiasi sacrificio venga loro richiesto.

Per arrivare a Fort Portland sono occorse 8 ore per l’andata (nonostante ci fossimo messe in viaggio alle 3 del mattino) e 10 ore al ritorno a causa del traffico terribile intorno a Kampala. Per fare 50 chilometri Kampala-Kisoga abbiamo messo 3 ore. Viaggio andata e ritorno naturalmente in giornata su un pulmino tutto sgangherato. Una specie di incubo che la mia schiena si ricorda bene!
Avrei da raccontare un’altra esperienza ma è un po’ forte e ve la risparmio.
Vi abbraccio tutti. Grazie ancora di credere in Gocce di Vita.

Daniela